Il dolore ha un perchè?!
Mi è difficile scrivere di notizie che riguardano il dolore e la sofferenza, soprattutto quando è inaspettata e coinvolge tante persone tra cui giovani e bambini, così come è successo nella tragedia del bus precipitato in Irpinia. Mi è difficile perchè sono d’accordo con mons. Pascarella, vescovo di Pozzuoli, che all’inizio dell’omelia dei funerali delle 38 vittime puteolane, sottolineava, proprio, la difficoltà a pronunciare parole che non sembrassero banali, fuori posto o solo formali.
Ma è inevitabile parlarne: un evento del genere ha provocato, in me e in tanti miei amici, una serie di domande spesso proprio esistenziali. Continuiamo a chiederci il perchè di tanto inspiegabile dolore, di una morte così atroce riservata a persone che tornavano da un pellegrinaggio in luoghi di forte devozione, da un momento di svago che per molti era anche l’unico in una vita di fatica.
La tentazione di cedere ai luoghi comuni minaccia ogni credente, come lo sono io: troppo semplice e poco convincente rispondere a persone alla ricerca, persone che continuamente si interrogano “Dio ha voluto così”. Il Dio in cui io credo è il Dio di Gesù Cristo, il Dio della Vita e della Speranza, ma la domanda mi assilla ugualmente: perchè consente tutto questo?
Ogni vivente è creato, progettato e programmato per vivere ma la sofferenza, il dolore sono connaturati all’essere vivente: al principio della vita stessa, nella nascita umana, c’è il dolore del parto e la sofferenza della creatura che abbandona per sempre un mondo perfetto per ritrovarsi nell’inverosimile caos che è il mondo di noi uomini. In quella realtà, il suo bene, cio’ che lenirà seppur temporaneamente il suo dolore, sarà il conforto della cura e dell’amore di chi lo accoglierà, comprendendo la meraviglia insita in quella nascita. La sofferenza è dunque principio e compimento di ogni esistenza, la nascita e la morte rappresentano solo i momenti culminanti di un percorso in cui nessuno è escluso dalla possibilità di trovarsi faccia a faccia con il dolore.
Il problema diventa tale quando subentra un evento o una persona a determinare la sofferenza, il dolore, la morte di altri, anche, prematuramente. Qui non si tratta di evocare alcuna immagine fatalistica o di un Dio indifferente ai suoi fedeli, ma solo si tratta di richiamare ciascuno alle proprie responsabilità. Succede, in altri termini, ciò che accade nella società civile quando si grida ad un Stato assente senza pensare che lo stato siamo tutti noi; in questo caso per molti Dio si è rivelato assente, senza pensare e senza, forse, sapere che si compartecipa all’opera di Dio. Il rapporto con Dio è un rapporto dialogico, dinamico, operativo. Soprattutto trovo di cattivo gusto e alquanto banale strumentalizzare eventi così gravi e luttuosi per giustificare proprie posizioni basate su affermazioni del tipo “a che serve credere se poi questo è il risultato …”, “meglio non credere … tanto non cambia nulla” ecc. Peccato che non conoscano la gioia di far parte di comunità ecclesiali, parrocchiali, che spesso restano il punto di riferimento e di senso per le tante persone provate dall’angoscia del dolore.
Il nocciolo della questione risiede proprio nella responsabilità che ciascuno di noi ha nei confronti dell’Altro: il dolore, la sofferenza, la morte sono spesso il frutto delle nostre azioni. Qui entra in gioco un altro concetto chiave, quello del male. Gesù stesso, figlio di Dio, è stato vittima del male e nella sua umanità chiedeva a Dio Padre di allontanargli il calice amaro della sofferenza. Sofferenza alla quale non si è sottratto, proprio perchè, come dicevo prima, è connaturata all’esperienza umana e di ogni essere vivente. La vicenda di Gesù è una vicenda profondamente umana, che dà un senso diverso alla sofferenza, non di annichilimento ma di reazione e di dignità. Sono gli uomini che provocano il bene, ma anche e soprattutto il male, sebbene spesso, nel corso della storia, soprattutto del ‘900, l’uomo abbia dovuto fare i conti e confrontarsi, spesso lacerare la propria coscienza, con gli attributi fondamentali di Dio: bontà infinita, onnipotenza, comprensibilita’ da parte dell’uomo. Sarebbe, in ogni caso necessario ricordare, che quando parliamo di Dio non facciamo altro che balbettare, così come sto facendo io in queste povere poche riga. Ad ispirarci dovrebbe essere, così come ricorda Jonas, l’infinita bontà di Dio e non tanto e non solo più la sua onnipotenza, spesso fraintesa e foriera di un’immagine un Dio totalitario e giustiziere. Dio non vuole la morte, ma la vita, ma la vita è un insieme di scelte e di pratiche: all’uomo sta la libertà di vivere o meno secondo la volontà di Dio, che spesso può essere completamente diversa dalla nostra!
Per il resto non ci resta che pregare per le anime delle vittime e per le famiglie che restano nel grande dolore, non ci resta che essere solidali con loro.