Papa Francesco a Napoli.

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Papa Francesco a Napoli. Un evento atteso, preparato, sentito come non mai dalla cittadinanza e dalla chiesa partenopea per il valore, ma soprattutto la testimonianza che l’uomo Bergoglio porta alla città, per il “valore enorme, incommensurabile sul piano morale, spirituale e umano” che porta con sé, come più volte ribadito dal cardinale Sepe.

Questa visita ci aiuta a riflettere sul senso di due termini: coerenza e fiducia, che sono l’essenza del cristianesimo, che non ha motivo di esistere senza testimonianza e di un’appartenenza, quella alla chiesa come ad ogni altra istituzione, che trova il suo motivo nella capacità di generare fiducia, altrimenti definibile come speranza, cioè di inserirsi nel cammino dell’uomo con spirito di servizio e di dedizione.

Coerenza e fiducia sono termini alquanto lontani o poco idonei a comprendere l’attuale realtà napoletana: troppi sogni infranti, troppe promesse politiche e non disattese… mancanza totale di punti di riferimento e di senso, uno scollamento troppo evidente tra etica e vita, che alimentano sentimenti di svilimento dando, così, torto alla naturale energia e “fantasia” napoletana che grazie a Dio, nonostante tutto, ancora resiste e affascina. Divengono i termini di una possibile ed effettiva ripartenza, poiché sono quei punti di domanda sugli stili di vita di religiosi, politici e cittadini, utili a leggere criticamente le proprie storie e le proprie relazioni con questa città e il suo hinterland, che ha bisogno, sempre più, di una nuova coscienza. In ogni caso è quanto mai vero quanto Francesco afferma, proprio a Scampia, “la vita a Napoli non è stata mai facile, ma non è stata mai triste …”.

Ora partire da Scampia, come Francesco ha fatto, è partire dalla periferia del cuore di ciascuno, dal cuore di chi abusa di quella piazza e di ogni piazza pubblica e di chi trasforma i luoghi pubblici in palcoscenico di ambiguità, spesso di malaffare e di criminalità, per lo più trampolino di lancio e di potere; è, in definitiva, ripartire dal cuore di chi, chiuso in un sordo egoismo, è tanto indifferente da non accorgersi di chi sta peggio o di chi “eroicamente”, addirittura, riesce ad essere felice con molto meno. Ma ogni territorio, ogni periferia geografica o esistenziale, ha dentro di sé una forte carica di riscatto, alimentata da uomini e donne operose ed oneste (la maggior parte), che vivono spesso l’esperienza della solitudine e dell’abbandono, ma che conservano, intatte, una dignità che ha il profumo dell’umiltà e che costituisce una riserva di vita per le generazioni future. In questo Napoli è maestra ed è disponibile a lasciarsi guidare da quella madre e maestra, che è la Chiesa.

Napoli è, così, il luogo privilegiato per riaffermare quel lessico bergogliano, che è, poi, il lessico dell’umano e che si concentra sui termini lavoro e dignità, “la mancanza di lavoro ci ruba la dignità. E senza lavoro ciascuno di noi può scivolare verso la corruzione”. Sul termine giustizia, che riguarda tutti nessuno escluso e che può essere unico antidoto a quella corruzione che rende la nostra Napoli, la nostra società, una società che “puzza”. Ancora il termine accoglienza: siamo “tutti migranti su questa terra” e non possono esserci “persone di seconda classe”, così come non possono esserlo i detenuti, che il papa ha incontrato per il pranzo nel carcere di Poggioreale, non accoglierli ed escluderli è “una delle crudeltà più grandi della società di oggi”, soprattutto se si parte dalla considerazione che tutti nella vita sbagliamo e non sappiamo, spesso, dove i nostri errori possono portarci.

Ma il testamento che lascia alla città è di certo quello che a gran voce scandisce durante l’omelia in piazza Plebiscito, “non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti: questo è pane per oggi e fame per domani. Non ti può portare niente! Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli, con il cinico commercio della droga e altri crimini. Non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate che la vostra gioventù sia sfruttata da questa gente! La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città! E di più: non sfigurino la gioia del vostro cuore napoletano! Ai criminali e a tutti i loro complici oggi io umilmente, come fratello, ripeto: la Chiesa ripete: convertitevi all’amore e alla giustizia”.

La visita agli ammalati al Gesù Nuovo, alle famiglie, agli anziani ed ai giovani sul lungomare Caracciolo riaffermano la necessità di riflettere sul senso della sofferenza, di reagire fermamente e con ogni energia alla “cultura dello scarto”, alla colonizzazione ideologica indotta dalla “teoria del gender”, che genera solo confusione, alla necessità di pensare a politiche di occupazione, che consentano ai giovani di realizzarsi professionalmente, per non incappare nelle maglie del facile guadagno. Non tralasciando la necessità, innanzitutto, di una piena realizzazione affettiva ed esistenziale che viene da Dio e che può guarire da ogni senso di precarietà.

L’incontro in Duomo con il clero, con i religiosi e le religiose, con i seminaristi per tanti aspetti diventa, in realtà, un’ulteriore occasione di riflessione per la chiesa intera: la necessità di reagire alla tentazione delle “chiacchiere”, che sono vere “bombe” di discordia (si pensi ad una società interamente costruita sul gossip e sulla notizia a tutti i costi), la necessità della preghiera e dell’adorazione per reagire alla mondanità ed all’affarismo economico, la missionarietà cioè una chiesa in uscita con Cristo al centro, per essere compagna di viaggio di ogni uomo.

In definitiva il percorso sociale che Francesco ha compiuto a Napoli è il percorso di una chiesa “in cammino” non autoreferenziale, ma aperta e con le braccia spalancate: a Napoli la misericordia, di cui il papa è, appunto, il più strenue cantore, si ridefinisce quale vera e propria categoria sociale, preludio alla giustizia, cioè modello oltre che religioso, civile e socio-politico di attenzione e di garanzia per tutti di quei diritti fondamentali posti a tutela della persona umana, a partire  da quel patrimonio comune di cultura, di carità, di solidarietà e di fraternità, che ogni consesso civico detiene e di cui Napoli città mediterranea e multiculturale è da sempre depositaria.

Il 21 è stato il primo giorno di primavera, primavera sarà solo a partire dai prossimi giorni, cioè dalla capacità di trasformare gli assetti pastorali e civili sul modello del percorso proposto da Francesco, di quella chiesa/società vicina e prossima al popolo fatto di uomini, donne e bambini con un volto ed un’anima. Uomini e donne, che avranno il compito di essere, d’altra parte, in prima persona testimoni e moltiplicatori di fiducia e di speranza, poiché, è bene ricordarlo, per tutti i credenti napoletani questa visita costituisce una ulteriore carica di responsabilità a determinare le sorti della città.

A ricordarcelo ulteriormente è, emblematicamente, il miracolo a “metà” del sangue di S. Gennaro compiutosi tra le mani di Francesco, che però avverte: “il vescovo ha detto che il sangue è metà sciolto: si vede che il Santo ci vuole bene a metà. Dobbiamo convertirci un po’ più tutti perché ci voglia più bene”.

Il popolo festante, i bambini di Scampia ricchi di gioia ed entusiasmo, insieme ai giovani dal volto pulito e coraggioso,  l’organizzazione impeccabile di una giornata storica, sono l’immagine di un’altra Napoli dove ancora tutto è possibile!